Barriera Milano

BarrieraMilano_IrenePerino1Nell’Ottocento, insieme a Stati e regioni, sono stati tracciati altrettanti confini e barriere su scale minori, a sbarrare la strada, separare le cose. Perché, si pensava, le cose restano e vanno difese. In quel periodo è nata anche la Barriera di Milano, come borgata appesa alla cinta daziaria del 1853, e in particolare a uno dei varchi a imbuto, quello dell’attuale piazza Crispi, oltre il quale, fuori città, si andava a Milano. Una borgata popolare cresciuta in fretta, ingrassata da famiglie che arrivavano da fuori e dentro le mura, per lavorare in città e gravitarvi attorno senza pagare costi troppo alti, tanto da diventare in fretta la Barriera d’Emme, poi solo la Barriera. La borgata cresceva soprattutto nei weekend, quando gli operai o artigiani avevano qualche ora libera in settimana per improvvisarsi muratori e tirarsi su una casetta per loro, molte delle quali hanno resistito al tempo. E per le cose di Barriera – strade, piazze, fabbriche – non è cosa da poco, vista la facilità con cui da queste parti si ricostruisce sempre da zero, come se nulla fosse o fosse stato. Il deserto è così, figlio dei cambiamenti che non rispettano i rapporti tra persone, tempi, luoghi e nel cuore del quartiere il tempo è sospeso sul filo della domanda di cosa succederà con la Variante 200 e la grande trasformazione della Spina, quasi come se si fosse pronti a ripartire, ancora una volta, da capo. Pensare troppo solo a che cosa sarà non deve impedire di riconoscere che cosa c’è, o c’era. Così, passando le cose, le vere barriere – i segni tangibili del tempo e dello spazio – sono le persone che resistono affinché il deserto non si porti via davvero tutto. Per questo la Barriera non collega punti ma persone: la gente di Barriera. Altrimenti, sulla sabbia del deserto le tracce sparirebbero troppo in fretta. I due itinerari disegnano questa Barriera, che non è un punto e neppure una linea, ma una galassia con un nucleo centrale, il primo itinerario, e una membrana esterna, il secondo. Entrambi in movimento tra ieri e oggi.
[L’altra Torino, Espress Edizioni, pag. 290]
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